Qualche anno fa, proprio nei mesi in cui scrivevamo il progetto LIFE NatSalMo, sulle pagine della rivista “The Biologist” appariva un illuminante articolo sull’importanza delle criobanche nella conservazione delle specie, scritto da William Holt, professore dell’Università di Sheffield e ricercatore onorario in Biologia della Conservazione per la sopravvivenza delle specie del prestigioso Smithsonian Institution.
Holt ricordava di quando, alla fine degli anni ’40, un giovane postdoc scoprì in maniera fortunosa ed accidentale che le cellule spermatiche di mammiferi e polli potevano essere congelate e successivamente scongelate con successo in presenza di glicerolo.
Nei decenni a seguire, lo sviluppo di protocolli e crioprotettori sempre più efficienti portò all’applicazione su vasta scala dell’utilizzo della crioconservazione del seme e delle criobanche nell’ambito della zootecnia e delle cure per l’infertilità umana. Si diffuse quindi l’abitudine di guardare alle pratiche di crioconservazione prettamente come a uno strumento di selezione e inseminazione artificiale per il miglioramento genetico delle razze domestiche di interesse economico.
Nonostante ciò, alcuni biologi della conservazione cominciarono a puntare sulle criobanche nell’ambito della salvaguardia delle specie in via di estinzione, animati da un importante intento: superare un grande limite insito nei programmi di riproduzione delle specie rappresentato dagli effetti negativi della consanguineità dei riproduttori (inbreeding). Le criobanche che nascono per supportare i progetti di recupero delle specie a rischio hanno l’unico grande compito di preservare la più ampia diversità genetica naturale, in modo da supportare il benessere e la sopravvivenza delle popolazioni selvatiche, combattendo l’inbreeding e i suoi effetti deleteri.
Una delle prime applicazioni di successo di questa tecnologia fu il recupero del furetto dai piedi neri Mustela nigripes, che a partire dalla fine degli anni ’80 fu salvato dall’estinzione grazie ad un programma di riproduzione che portò alla reintroduzione di più di 4.000 individui negli USA, Canada e Messico. Campioni di seme congelato dei riproduttori fondatori originali sono ancora usati, con parsimonia, per supportare le popolazioni esistenti e le analisi genetiche mostrano inequivocabilmente che la prole originata da queste inseminazioni presenta minori livelli di consanguineità rispetto agli individui nati dalla riproduzione naturale.
Ad oggi le sfide della crioconservazione sono ancora molte: non tutte le specie – dai mammiferi ai pesci – rispondono bene al ciclo congelamento-scongelamento del seme. Tuttavia, la messa a punto di protocolli sempre più efficienti e la programmazione di appropriati schemi di fertilizzazione artificiale rappresentano un passaggio fondamentale che permette alle criobanche di fornire ai progetti di conservazione uno strumento utile per non perdere la biodiversità originale.
Il progetto LIFE Nat.Sal.Mo. nasce proprio dall’esigenza di collaudare uno strumento utile a superare alcuni limiti dei tradizionali programmi di riproduzione artificiale di supporto alle popolazioni salmonicole native, che rischiano di produrre materiale sì autoctono, ma al contempo “zootecnico”. La futura creazione di un parco riproduttori potrà contare su risorse genetiche selvatiche anche negli anni a venire. Questi sono i punti cardine dai quali è nata la nostra idea progettuale, supportata in seguito dalla Comunità Europea per il suo contenuto innovativo, in combinazione con le altre attività di salvaguardia dell’habitat e di partecipazione delle comunità locali. In poche parole: Zootecnia? No, grazie.